Ieri, Oggi, Domani, Opera! Interview
ScrollLuca Pisaroni: Un Don Pizarro venuto da Busseto
Luca Pisaroni è uno dei più brillanti esponenti dell’Olimpo della lirica attuale, con una carriera sui palcoscenici dei teatri più prestigiosi del mondo. E’ nato a Ciudad Bolívar (Venezuela), ma è cresciuto a Busseto, patria di Verdi e centro della “venerazione” melodrammatica, è uno dei più grandi interpreti mozartiani di oggi, oltre che di numerosi ruoli del Belcanto. Dopo una carriera nata sotto del cigno salisburghese tra l’Austria e la Germania, e poi sviluppata negli Stati Uniti e in tutto il resto d’Europa, il basso-baritono è finalmente tornato in patria, prima con il suo celebrato Leporello in “Don Giovanni” alla Scala (2017), poi con “Maometto II” al Rossini Opera Festival 2017 e infine, sempre nel tempio milanese, in questi giorni, come “Don Pizarro” in “Fidelio” di Beethoven, un’opera non molto frequentata (purtroppo) dai cantanti italiani e fortemente simbolica. In occasione di questo impegno meneghino abbiamo avuto il grande piacere di intervistarlo.
Com’è nato il tuo amore per il canto?
La passione per il canta ce l’ho sempre avuta, fin da bambino. L’ascolto dell’opera è cominciato quando avevo nove anni, perché mio nonno aveva una raccolta dei brani più famosi di Giuseppe Verdi e io ho amato fin da subito quella musica. La mia prima volta all’opera è stata all’età di undici anni, Aida all’Arena di Verona. Da quel momento ho capito che l’opera era la migliore cosa che esistesse e ho deciso di voler fare il cantante d’opera. Mi sento un po’ un predestinato, poiché sono cresciuto a Busseto, dove ho avuto per esempio la possibilità di assistere a tante masterclass di Carlo Bergonzi. Era una strada quasi troppo ovvia quella di diventare un cantante lirico. Era scritto direi…Da lì ho continuato a studiare, a coltivare la passione, fino a quando non mi sono iscritto al Conservatorio di Milano, ho iniziato a fare le prime audizioni e i primi ruoli…e il resto è storia.
Pur essendo cresciuto nelle terre verdiane, Verdi non è molto presente nella tua carriera attuale…
L’unico ruolo verdiano che ho affrontato è stato Paolo Albiani in “Simone Boccanegra”, di cui abbiamo fatto due recite in versione di concerto a Vienna e poi lo abbiamo registrato per DECCA. Ho sempre pensato che Verdi fosse un compositore che rappresenta un punto d’arrivo e non un punto di partenza. Mi sono reso conto che cantanti che sono celebri per la longevità vocale e la lunghezza della carriera, hanno affrontato prima i ruoli mozartiani e il Belcanto. Penso a Cappuccilli, che rappresenta il Baritono verdiano per eccellenza, che ha inciso Masetto in “Don Giovanni” con Carlo Maria Giulini, o Mirella Freni, che ha cantato per molti anni Zerlina e Susanna ne “Le nozze di Figaro”. Quindi nonostante io adori Verdi, sono sempre stato molto rispettoso. Bisogna dire inoltre che i ruoli che Verdi ha affidato alla mia vocalità sono sempre personaggi adulti, maturi, con una certa esperienza di vita vissuta e autorità… un’autorità che da giovani per forza di cose non si ha e non si capisce.
Se dovessi però scegliere un ruolo verdiano con il quale ti piacerebbe iniziare?
Devo dire la verità che non so rispondere con esattezza a questa domanda…per il momento non mi sono avvicinato a niente, neanche in fase di studio. Forse comincerei con il Primo Verdi, quello più ibrido, che attinge ad uno stile vicino a quello di Donizetti. Per il momento, come dico io, non ho neanche pensato di comprare gli spartiti! (ride). Certo mi piacerebbe, ma si possono fare tutti i programmi possibili, ma la voce si sviluppa talvolta in maniera inaspettata. L’intelligenza del cantante sta nel saper assecondarla e nel capire qual è il momento giusto per affrontare un determinato ruolo…
L’anno prossimo invece, dopo tante recite di Leporello, vestirai per la prima volta i panni di Don Giovanni al MET….come ti stai preparando al debutto in questo personaggio che hai avuto la possibilità di osservare da vicino?
Questa è stata una decisione molto “sofferta”, perché da questo ruolo mi sento un po’ “spaventato”. Avendo interpretato tantissime volte Leporello, mi sono reso conto dell’immensa difficoltà del ruolo. E’ difficilissimo da fare “proprio”. Non ha la musica più bella dell’opera, o almeno quella più conosciuta, come invece il catalogo di Leporello, le arie di Donna Anna e di Donna Elvira. Però è indubbiamente un ruolo centrale, il motore di tutta la vicenda e colui che decide le sorti di tutti gli altri personaggi dell’opera. Il problema che io trovo è che tutti abbiamo un’idea di questo ruolo ed è quindi difficile accontentare tutti: è talmente un ruolo complesso, che è molto difficile rappresentarne davvero tutte le sfaccettature. Dev’essere seducente, ma pericoloso, sexy, aggressivo. Essere tutto questo è una cosa sovrumana penso io. Quello che ho notato cantando Leporello, è che nonostante tutto quello che tenti di fare in scena, Don Giovanni è un ruolo che ti sfugge e ci sarà sempre una parte del pubblico che sente qualcosa che manca nella tua interpretazione. Ho aspettato tanto ad affrontarlo, e ho debuttato prima il Conte de “Le nozze di Figaro”, perché pensavo fosse un ponte, tra quei personaggi più “comuni” come Figaro, Leporello o Guglielmo, e quelli più nobili, come il Conte e appunto Don Giovanni. Un personaggio sovrumano, in cui ti dovrebbe bastare entrare in scena e conquistare ancor prima di iniziare a cantare. Cercherò di farlo mio e di capire quali sono i lati del carattere di Don Giovanni che voglio evidenziare ed esplorare.
Parliamo invece del tuo recente debutto (in versione da concerto) nei panni di Don Pizarro in “Fidelio” a Tokyo e che prossimamente canterai alla Scala…
Io canto frequentemente il repertorio tedesco e ho pensato che fosse una buona occasione cantare questo ruolo, che è un po’ la versione tedesca di Scarpia, o di Jago. E’ un ruolo che ha dei momenti musicali stupendi, la prima aria (“Ha, welch ein Augenblick”) per esempio ha una potenza straordinaria. Se devo però scegliere un momento che mi piace di più direi il duetto con Rocco (che abbiamo provato in questi giorni con Stephen Milling, che interpreterà il ruolo a Milano), perché è dove si capisce il carattere di Pizarro, che non è solamente fatto di cantare “forte” o gridare, ma si svela la sua natura fatta sì di malevolenza e cattiveria, ma anche di accenti subdoli e melliflui. Pizarro è una persona che non ha molta pazienza. E’ un ruolo molto bello, anche se scritto “male”, nel senso che non è per nulla facile. Come un mio collega mi ha detto è “breve e doloroso”, ma come tutti i ruoli dei cattivi, è quello che dà energia all’azione, senza il quale la storia non esisterebbe. Un po’ come tutti quei cattivi, che arrivano e distruggono la situazione e sono motori delle vicende.
Fidelio è l’opera delle libertà…quale messaggio può dare questo capolavoro al mondo attuale?
Questa è una domanda molto complessa! Ci sono tanti temi che si possono avvicinare a quest’opera, penso alle questioni dei migranti, a quella delle libertà politiche, della libertà individuale e delle costrizioni sociali. In Giappone abbiamo fatto una versione da concerto, mentre qui nell’allestimento della Scala, firmato da Deborah Warner, quella che viene messa in primo piano è la questione politica, perché l’idea è quella che Don Fernando, Florestan e Don Pizarro siano dei politici rivali, e questa rivalità ha portato all’imprigionamento di Florestan. Il messaggio che secondo me si può dare è il fatto che si possono sopprimere i popoli e le persone, ma la libertà e l’autodeterminazione dell’individuo ha sempre la forza per vincere. Quindi è meglio esprimere queste pulsioni, piuttosto che sopprimerle, specialmente in un periodo come questo, in cui si parla della questione migranti e delle entrate illegali. Questo è un discorso politico, che ovviamente io non voglio fare, perché non è il mio ruolo. Però al di là della politica, possiamo vedere in Fidelio un messaggio di fratellanza e di solidarietà tra gli uomini. Se tutto il mondo pensasse più agli altri e al bene comune, sarebbe tutto migliore.
Dopo una carriera internazionale, lo scorso anno hai debuttato alla Scala, con Leporello in “Don Giovanni”…quali sono state le emozioni di quelle recite e qual è l’emozione di tornarci nuovamente?
Tornare alla Scala è sempre un’emozione! E’ un teatro con una tradizione talmente enorme che sicuramente la prima volta intimorisce. Fortunatamente lo scorso anno per “Don Giovanni” abbiamo avuto un lunghissimo periodo di prove e quindi ho avuto il tempo di abituarmi a cantare in questo teatro, arrivando alla prima più tranquillo. Certo, quando si riempie per la prova generale il nodo allo stomaco ti viene sempre…non c’è niente da fare! Sono felice di tornare con questo titolo, non frequentato molto dai cantanti italiani. Ho avuto sempre l’idea del cantante “a tutto tondo”, ossia che affronti un repertorio più ampio possibile. La produzione di Deborah Warner è bellissima, e fare musica con il Maestro Myung-Whun Chung è un sogno. E’ un direttore fantastico, con il quale ho lavorato per la prima volta a Maggio, in occasione di “Fidelio” a Tokyo e l’ho trovato meraviglioso, con un’energia straordinaria, una grande attenzione al dettaglio, alla parola, alla drammaturgia. Non vedo l’ora di iniziare gli assiemi, e cantare l’aria con l’Orchestra della Scala, il coro, lui che dirige…una bella emozione.
La Scala è indubbiamente un brand italiano di successo…tu collabori con “Via Luca”, una piattaforma e-commerce, dedicata all’abbigliamento maschile “made in Italy”. Raccontaci quest’esperienza…
E’ una collaborazione a cui tengo molto, perché secondo me spesso noi italiani non siamo i migliori al mondo nella valorizzazione delle nostre qualità. Poi in quanto ad abbigliamento e cucina, sapendo che in ogni caso hanno un mercato sicuro, non facciamo abbastanza promozione. Invece penso che dovremmo proteggere i piccoli produttori, penalizzati dalla grande produzione, valorizzando le loro conoscenze, le loro esperienze nella realizzazione, nella cura dei materiali e nella confezione di prodotti di qualità. Una volta che questo bagaglio di ricchezze svanisce, il Made in Italy ne soffrirà. La bellezza dell’Italia è quella di avere in ogni regione, in ogni comune, qualcosa di unico ed individuale che deve essere valorizzato. Sono felice di essere l’ambasciatore e il promotore dell’idea che tutte le cose debbano essere realizzate realmente in Italia, e non assemblate in Cina, o in generale all’estero, e poi confezionate ed etichettate in Italia. E’ una grande gioia che questi produttori, che si trovano in Emilia, o in Lombardia, vengano apprezzati per il loro lavoro e la loro dedizione alla qualità.
Ritornando al canto…spesso tu canti il repertorio tedesco concertistico, o da camera…qual è l’equilibrio vocale che bisogna trovare per cantare queste pagine di musica non operistica?
Molto spesso si pensa che fare concerti sia più facile, in realtà non lo è affatto. Innanzitutto bisogna avere l’idea di “fare musica” sempre, però magari con un repertorio, penso per esempio alla “Missa Solemnis” di Beethoven, in cui l’equilibrio con le voci è ancora più complicato rispetto a quello di un’opera. La scrittura di Beethoven, l’attenzione all’emergere di determinate frasi, l’armonia tra le voci maschili e femminili, richiede davvero molto lavoro, anche dal punto di vista dei colori e delle dinamiche, che devono essere anche più curate che nell’opera. Non è assolutamente facile. E’ un lavoro “di fino”. Quando sei in una sala da concerto più piccola, un “piano” è sicuramente più piano che in una sala come il Metropolitan o La Scala. La cosa che io ho sempre amato, essendo un gemello, è la varietà e la diversificazione, e questa musica mi aiuta anche a mantenere la mia salute vocale. Cantare sempre un repertorio pesante per tutto l’anno, porta a stancarti. Io canto Méphistophèles in “Faust”, “Le Contes d’Hoffmann”…ma dopo torno a cantare i “Liebeslieder-Walzer” di Brahms, con due pianoforti e quattro solisti, andando a ricercare tutti i colori e le sfumature. E’ assolutamente importante per la salute vocale, sforzarmi di trovare il più possibile i toni cromatici più differenti. Sono sempre stato il paladino del fatto che non è per niente vera questa storia che i cantanti italiani sanno cantare solo l’opera. Il canto non ha niente a che fare con la nazionalità, e neanche il repertorio. Se pensiamo che il basso per eccellenza nel repertorio rossiniano è l’americano Samuel Ramey, nato e cresciuto in Kansas, ci viene confermato tutto ciò. Noi cantanti italiani abbiamo qualcosa nel nostro modo di cantare, che secondo me dobbiamo esportare anche nel repertorio tedesco. E’ sbagliata l’idea che la musica tedesca vada cantata con le voci brutte o tutto forte. Anche in un cattivo come Pizarro c’è la possibilità di “fare” un suono bello. Non voglio sembrare un nazionalista, ma credo che non ci sia niente di male nell’importare un po’ di italianità, nel canto tedesco.
Quali saranno i tuoi prossimi impegni?
Dopo questa produzione di “Fidelio” alla Scala, canterò Leporello per la televisione, NDR KLASSIK, al Maschpark am Neunen Rathaus di Hannover. Poi farò Méphistophèles in una nuova produzione di “Faust” al Teatro Real di Madrid, con la direzione di Dan Ettinger e la regia de La Fura dels Baus. Dopodiché debutterò “Les Contes d’Hoffmann” a Baden-Baden, canterò ne “L’Italiana in Algeri” al Gran Teatre del Liceu di Barcellona. In mezzo farò tanti concerti, a Londra, Linz, Amburgo….
Tra questi concerti spicca un titolo divertente…”No Tenors Allowed”…
Sì! Sono dei concerti che facciamo con mio suocero (Thomas Hampson), in cui ci divertiamo un mondo, come dei pazzi, cantando un repertorio che non è così conosciuto come i duetti soprano/tenore. Insieme stiamo benissimo in scena. Insomma fino alla fine dell’anno sarò molto impegnato e attivo, grazie a questa bella varietà di impegni. C’è sicuramente anche qualche giorno di riposo tra lo studio e l’impegni sul palcoscenico, ma non posso dire di non divertirmi!
Speriamo che l’Italia sia più presente nella tua agenda in futuro…
Lo spero anch’io. Qui a Milano mi sono trovato molto bene e spero proprio di tornarci presto!